Come monetizzare un progetto con le attività SEO? Qual’è la ricetta ideale da adottare per questo scopo? La risposta non è banale e merita secondo me un approfondimento adeguato.
Risposta breve: per fare soldi con la SEO dovreste come prima cosa creare un sito in WordPress gratuito, installare plugin, crackare un theme a pagamento, farvi sistemare il sito da vostro cugino bravo col computer, farvi scrivere articoli originali su un tema qualsiasi dal primo che trovate su FAcebooke poi mettete gli Adsense, ecco qui la magia è compiuta, e guadagnate, ovviamente alla faccia del vostro Capo. Licenziatevi domani stesso. Investimento minimo, guadagno massimo, pagamenti in visibilità.
Vi convince?
Non troppo, lo so.
Risposta lunga: non funziona così. Non esistono ricette preimpostate. Fare soldi con la SEO non è per tutti, credetemi.
Il web è bello perchè è gratuito, ma monetizzare un progetto è una necessità per chi sul web vorrebbe viverci, o se non altro aggiungere qualche entrata ad uno stipendio che manca, è troppo misero o non basta mai. Certo considerare la SEO come attività monetizzatrice rischia di farla sembrare meno nobile di quanto vorrebbe, ma è un dato di fatto che molti vogliano farla – ed è per questo che mi sono deciso a raccontarvi la mia esperienza in merito.
Ascolta, non lo facciamo soltanto per quei soldi! Ma lo facciamo per quella montagna di soldi! (Stella Solitaria, Balle Spaziali)
In genere per tutti i progetti web che hanno intenzione di procurare introiti, bisogna partire da due presupposti:
- il primo è legato al mezzo che userete per farvi conoscere, per cui ad esempio i motori di ricerca (e lo do’ per scontato, in questa fase, ma non è l’unico modo per farlo ovviamente)
- il secondo punto da capire è capire il cosa offriremo in cambio di soldi: vostri servizi, vostri prodotti, banner pubblicitari display, compra-vendita di banner o link
Non è solo un fatto di consulenze
Ma allora paga i SEO? Questa domanda sembra avere una risposta facile, spesso tutt’altro che scontata ma diretta: è il cliente a pagare per la consulenza che facciamo, giusto? In realtà questa è soltanto una faccia della medaglia, ed è quello che mi capita quando un cliente mi chiede una consulenza: un format che ancora applicherò per qualche tempo, ma che non conto di fare in eterno per una varietà di motivi.
- Le consulenze SEO, in genere, richiedono un lavoro difficile anche solo da preventivare (molti si fanno pagare anche il preventivo, ad esempio, per questo motivo) perchè cambia caso per caso;
- in genere le consulenze pagano poco, perchè esiste un sottobosco di lavoro (tipicamente in nero) di persone improvvisate che non hanno competenze tecniche in fatto di SEO, eppure la propongono lo stesso; ma anche perchè il cliente lo ritiene, a torto, un lavoretto che chiunque può fare;
- in molti casi il prospect o futuro cliente è vago sui requisiti, cioè non sa bene dove voglia andare a parare;
- in molti casi il prospect non considera la SEO un investimento corposo, per cui ha pretese improponibili (competere con Amazon.it installando Woocommerce su un server condiviso a 20 € / anno, magari con sede in Mongolia) e vai spiegare che sta partendo male;
- in molti altri sotto-casi, il prospect è irascibile, troppo convinto delle proprie idee e tendente a ragionare per preconcetti, per cui è quasi impossibile convincerlo che le cose non stanno, eventualmente, come lui crede.
Sono cinque motivi per cui, da molto tempo, il mio lavoro vira parecchio anche su attività considerate collaterali alla SEO, come la vendita di servizi editoriali (che in Italia sembrano pagare benino, anche meglio delle classiche consulenze a 360°), che in realtà sono il vero core business di chiunque faccia SEO per professione.
Strategia 0: monetizzare un e-commerce
Questa è la strategia più diretta per monetizzare un sito: create un e-commerce e cercate di piazzare i vostri prodotti o servizi al suo interno. Nella mia esperienza è necessario partire con una buona base di SEO on page, farne una di qualità off page e poi focalizzare un punto basilare: perchè i vostri clienti dovrebbero comprare da voi? Non è una domanda a cui è facile rispondere, e può essere legata a banali considerazioni di qualità o che vengano incontro ad esigenze specifiche (esempio: le nostre marmellate sono prodotte biologicamente) e che vi rendano davvero unici o difficilmente imitabii (esempio: e siamo i soli in Italia a produrne di questo sito). Diversamente, il mercato degli e-commerce è difficile da trattare, e tipicamente si punta a posizionarvi su Google su ricerche molto specifiche che poi si generalizzano strada facendo (ad esempio: ogni 6 mesi), a seconda di come procede il flusso di traffico che vi arriva.
Evitate, in ogni caso, di auto-incensarvi e di considerarvi (magari scrivendolo nel sito!) “leader nel settore“, per lo stesso motivo per cui per essere considerati bravi a letto è necessario che ci sia almeno un’altra persona che lo dica in giro.
Strategia 1: monetizzare con i corsi e gli eventi formativi
Su questo argomento sono particolarmente tassativo, a costo di passare per paralizzante: non si improvvisa, mai. Non potete pensare di fare i formatori SEO da un giorno all’altro, magari perchè pensate di aver capito tutto sull’argomento. Su questo sito sto pubblicando un po’ di test con cui potrete rendervi conto da soli se siete davvero portati per fare questo mestiere. La SEO è facile nella sua generalità, ma tende a complicarsi nei casi specifici per i cinque motivi che ho appena elencato (ed è su quelli che poi si fa esperienza e si cresce professionalmente, alla fine).
Un buon modo per proporsi come formatori, del resto, è quello di presentare case history curate da voi, ovviamente che siano di successo in termini di traffico procurato, posizionamenti raggiunti e così via. Fatelo dati alla mano: non parlate per sentito dire, non limitatevi al raccontino banalizzato per farvi capire dal popolo, perchè (soprattutto in Italia) TUTTI puntano sull’aneddotica, sull’ostentarsi guru della ricchezza. Soprattutto, evitate di far passare la cosa più pericolosa – ai limiti del letale – per il settore: che chiunque possa fare SEO, un’idea sballata e qualunquista che vale, al limite, per il settore del copywriting – e nemmeno per tutto.
Non c’è formazione che tenga, se hai pregiudizi o pensi di avere ragione dall’inizio: ovvio, se non vuoi investire in consulenze SEO sei liberissimo di non farlo, ma non puoi pensare che fare il formatore o frequentare un singolo corso di formazione possa illuminarti miracolosamente. Certe cose si maturano col tempo, sul campo e facendo test spesso dolorosi e “a perdere” – tipo, come mi è capitato, aprendo vari blog ed e-commerce con tanto di customizzazioni, e che poi hanno dovuto chiudere. Per cui pace fatta: fare formazione è una buona alternativa alla consulenza, sia da proporre come corso a pagamento che da frequentare a tua volta.
Ma non bisogna dimenticare che si vende un’esperienza concreta, altrimenti si diventa fuffari e, detta in modo elegante, sembra brutto.
Strategia 2: monetizzare il proprio sito con annunci display
Una volta che sarete riusciti ad ottimizzare il vostro sito, di fatto, potrete certamente pensare di monetizzare il traffico di ricerca da Google. Ma come fare?
Bisogna senza dubbio puntare un buon numero di chiavi di ricerca commerciali, cioè quelle legate a bisogni delle persone che portino ad un acquisto (deve esistere un commercial intent). Con il traffico generalista tipicamente non si guadagna nulla, ed è il motivo per cui molti quotidiani e periodici online non riesce a farsi cliccare i banner, che vengono bloccati perchè troppo invasivi o fuori contesto. Chiaro che poi dipende dalle query di ricerca e dall’intento di ricerca su ognuna: se uno cerca “hosting per WordPress” si aspetta di trovare buone offerte per servizi di questo tipo, è inutile che gli mostriate banner con hosting .ASP (per dire) perchè la campagna avrà CTR quasi nullo.
Ovviamente possono capitare clic incidentali o casuali o legati ad uno stimolo del momento, ma in questo caso le probabilità di guadagno sono tipicamente ridotte.
Qui il discorso diventerebbe molto vasto, ma mi sento di specificare due suggerimenti generali:
- non monetizzate con annunci invasivi per l’utente, mai. Il visitatore va visto come un prospect, come un potenziale cliente, e una volta che entra nel vostro “negozio” (anche se non si tratta per forza di un e-commerce, a maggior ragione se lo fosse) non potete pensare di aggredirlo con banner che implorano di essere cliccati. Se ne andrà, e forse non lo rivedrete mai più. Anche perchè, come ho già spiegato, a muovere il commercio via banner display non è tanto il click quanto la conversione (cioè la percentuale di click che si traduce in un’azione concreta dell’utente: registrazione, iscrizione ad un servizio, acquisto del servizio o del prodotto)
- utilizzate sempre ads contestuali: è deleterio provare a vendere caffè in un sito che parla dei pericoli derivanti dall’abuso di caffeina, così come un banner di un sito di scommesse è inadeguato per un blog sui TeleTubbies. Non sempre è facile mantenere questo genere di contestualità, ma Adsense è uno dei migliori programmi in tal senso, per quanto tenga conto anche della navigazione precedente dell’utente (cosa di cui, per inciso, per il nuovo GDPR e per la legge sui cookie in arrivo siete obbligati ad avvisare chiaramente il vostro visitatore).
Strategia 3: vendere link o banner
La strategia appena vista è facile da implementare (con qualche accortezza, come visto), ma ha un problema di fondo: è applicabile soltanto su volumi di traffico molto consistenti, è difficile da misurare e spesso è incontrollabile per certi aspetti. Bisognerà aspettare per vedere risultati, ma perchè aspettare quando potremmo… trovare un compratore diretto del banner o del link? Vendere link, per quanto sia un’attività che Google tende a far considerare male, è una strategia di tutto rispetto: se avete un bel sito, presto o tardi sarete contattati da qualche inserzionista diretto, con cui potrete prendere accordi diretti, eventualmente via contratto. In genere non è consigliabile pubblicare annunci di vendita link, se non su network specializzati di reale qualità (ovviamente a vostro rischio: se un concorrente diretto vede che vendete link su un sito, potrebbe segnalarvi a Google).
L’unica precondizione lato SEO, in questi casi, è quella di non svendere i link (per valutarne il prezzo ci sono vari fattori per misurarlo, che possono mettere d’accordo aspirante inserzionista e blogger), di non fare prezzi nemmeno mostruosi perchè sarà difficile vendere e di inserire – soprattutto se siete principianti – il rel=”nofollow” sui link venduti (Google dice di fare così, ma ovviamente rimane a vostra discrezione farlo; può essere un aspetto su cui implementare una politica di maggiore prezzo / maggiore rischio penalizzazioni).
Conclusioni
Le tre strategie sono quelle su cui ho avuto maggiori esperienza, dubito che siano le uniche ma sono certamente concrete: potete provarci anche voi, sul vostro sito, oggi stesso. Ovviamente considerate anche logicamente la questione: se avete un e-commerce che vende un prodotto X, non ha senso inserire un banner di Adsense che proponga lo stesso prodotto contestualmente, e vi farà perdere guadagni più consistenti. Per tutto il resto, una buona analisi di mercato, della concorrenza e del commerciale in genere sarà utile per farvi capire quale strategia sia la migliore da attuare.
Strategie che, nel tempo, si dovranno affinare anche a costo di demolire tutto quello che abbiamo fatto e riproporsi in veste continuamente rinnovata.