Il copywriting SEO È sopravvalutato (scusate, ma è così)

Che cos’è davvero il copywriting SEO, e perchè forse non dovremmo dargli un “peso specifico” che, alla prova dei fatti, non ha.

Chi legge i miei articoli più o meno abitualmente mi ha fatto notare, in più occasioni confidenziali, un tono eccessivamente “spigoloso” nei confronti di ciò che, sia pur lecitamente, a me non piace. Fermo restando che non mi piace pontificare – e meno che mai farlo usando internet, e lo considero anche “pericoloso” per inciso – c’è da specificare che, soprattutto durante questo strano 2020, ci sto lavorando parecchio. Far valere le proprie ragioni, senza per forza generare conflitti tipo guerra civile anche nella stessa comunità SEO – di cui mi considero ovviamente parte, ma che tendo ad evitare tutte le volte che non lo reputo strettamente necessario – è una capacità importante per chi si occupi di consulenze, spesso costretto a mediare tra le lecite esigenze del committente e l’impossibilità di realizzare certe richieste troppo astruse o pretenziose.

Copywriting SEO: ma cosa vuole dire?!

Chi parla di copywriting SEO in genere fa riferimento ad una skill: un “bravo SEO” (termine di retaggio aziendalista che più vago non si può, secondo me) assomiglia sempre di più ad una figura mitologica, un hacker cinematografico in grado di risolvere qualsiasi problema di un sito a qualsiasi livello. Perchè tanto lui è come se avesse un rapporto preferenziale con la tecnologia di Google, tanto da riuscire a condizionarla ed aggiustare i siti in SERP neanche fosse un puzzle.

Copywriting SEO: un puzzle contorto (spesso senza uno sbocco effettivo)

Il clima, secondo me, attorno al copy SEO (che ho – ironicamente, s’intende – affrontato in passato con un titolo emblematico: Come fare copywriting SEO senza farsi arrestare dalla polizia postale), è in genere sopravvalutato, soprattutto negli ultimi 2 anni in cui Google sembra aver sminuito alcune pratiche, arrivando a farci constatare nostro malgrado a due punti fondamentali:

  • spesso i backlink, nonostante siano sulla carta “potenti”, non sembrano portare nulla di buono (neanche avere un effetto negativo, bensì nessun effetto: inquietante); questo che scrivo danneggerà il mercato? Ne dubito: perchè comunque restano un investimento a medio rischio periodicamente necessario.
  • altrettanto spesso, si pensa che basti inserire la keyword nel title, nella meta-description, nel testo o financo del testo alternativo dell’immagine dell’articolo per posizionarsi per magia, dando per scontato che tutto funzionerà per il meglio – basta trovare un operativo in grado di fare tutto questo. Molte dirigenze di società anche molto grosse, che mi hanno contattato personalmente in alcuni casi, vivono ancora in questa grossolana convinzione.

Di fatto, ho sempre detto che il cliente non si può accontentare ad ogni costo nella SEO (un po’ per necessità e praticità dell’approccio: ne parlo qui), ma il punto chiave da focalizzare è proprio nella differenza tra “operativo” e consulente: un operativo, semplicemente, fa il proprio compito, si porta a casa la pagnotta e (almeno in un mondo ideale) si limita a fare il compitino di copywriting SEO. Un consulente SEO, invece, deve fare delle scelte anche strategiche, non solo operative, ammesso che gli sia data l’opportunità di farlo, e – a differenza di un programmatore o di un operativo che “paga”, anche giustamente, per gli errori che fa – ha anche il diritto di cambiare rotta, se reputa che ciò sia un bene, anche facendo scelte apparentemente controverse e poco comprensibili o poco in linea con le “aspettative” del cliente. Che poi, aspettative de che, direbbero a Roma, visto che Google è diventato una macchina difficilmente comprensibile per tantissimi versi, è venuto il momento anche di dimensionare compiti, responsabilità e prospettive del lavoro, senza per forza degenerare nella succitata guerra civile.

Del resto, se il cliente potesse fare tutto da solo, lo farebbe e basta, sguazzando nei propri guadagni: se invece ha bisogno di aiuto dovrebbe, senza troppi giri di parole, riconoscere con se stesso di averne bisogno – e poi lì sta al consulente, dal canto suo, non abusare della fiducia. Sembra quasi psicologia SEO, ed in effetti in qualche modo lo è: c’è un approccio molto interessante proposto dalla tecnica ACT nella psicologia, in effetti, che si basa sull’accettazione (del fatto che un consulente deve avere campo libero, altrimenti non è tale) e sulla cosiddetta mindfullness, una sorta di “elasticità” reciproca che aiuta a vivere meglio un po’ tutti (incluse le sacrosante incazzature quando il sito non si posiziona). Purtroppo l’etica nel campo SEO, come in molti campi di marketing, è considerata quasi una debolezza, e porta ad una logica homo homini lupus che poi, alla fine, va solo a svantaggio del cliente: il consulente un altro cliente lo troverà per forza di cose, mentre il cliente potrà fare lo stesso ma comunque, in alcuni casi, non farà altro se non sballottarsi tra mille idee, una più confusa dell’altra.

Copywriting SEO: cosa c’è che non va??

Formalmente nulla, in realtà. Accetto che sia una linea guida e che le solite regole valgano, in linea di massima – del tipo:

  • inserire la keyword nel testo non è sbagliato;
  • forzare la mano sul title, a volte, funziona;
  • è corretto verificare le occorrenze delle keyword (per quanto qui, in realtà, sia necessario a volte anche vagliarle criticamente, specie se sono state scelte arbitrariamente, potrebbero non servire a nulla)
  • ok se “ottimizziamo” (cioè se infiliamo la keyword un po’ a tradimento, dai) title, metadescription, testo, heading H1, H2, …,  e tutto quello che ne consegue.

Il problema è che non basta: seguendo queste regolette alla lettera su un sacco di domini che curo eprsonalmente da anni, non sembra produrre alcun risultato, in alcuni casi. Specie se sono query “difficili” – che poi vuol dire quasi sempre “con molta competizione” – soprattutto se non si lavora sulla long tail e a volte, purtroppo, anche se lo si fa. E allora in quel caso la copy SEO viene orrendamente ridimensionata, diventando un mostro con cui prendersela o contro cui inveire, quando in realtà il problema, magari, era proprio di approccio di base.

Nel senso che (parlo in modo molto, molto chiaro):

  1. se il tuo business non funziona per problemi di marketing, non puoi dare la colpa alla SEO se le cose non funzionano;
  2. Google non è perfetto ed è anche normale “approfittare” dei buchi in cui rende possibile agire: ma non è sicuramente così scemo come molti fan del copywriting SEO (quantomeno inteso così) vorrebbero farci credere.

Copywriting SEO, in un certo senso, nemmeno esiste

A parte che poi l’uso della parola copywriting è improprio se non errato – almeno rispetto alla forma in cui era stato concepito all’inizio, visto che ha sempre riguardato la scrittura di testi pubblicitari – e questo per la semplice considerazione che se devi portare traffico naturale al sito è molto difficile farlo mediante “testi pubblicitari”.

Oggi, ad esempio, addirittura i giornalisti di quotidiani generalisti pubblicano articoli sui “migliori X [località]“, forse perchè sono consapevoli dell’importanza della SEO (o credono di averla capita, che è pure peggio). Io francamente non sono d’accordo con questo approccio, perchè oltre a creare complicazioni (e concorrenza a volte vagamente sleale, direi pure) è sintomatico di quel feeling approssimativo che dicevo prima: la SEO vista come un puzzle, in cui basta mettere le cose al posto giusto, ripetere una certa parola e tutto andrà per il meglio, bam!, in prima pagina. Non è così, e se non ci credete provate a posizionarvi con il “copywriting SEO” scrivendo semplicemente un articolo su un sito a caso, usando le “giuste parole” e la “corretta disposizione del testo, così come imposto dalla classica “dottrina”. Senza ragionarci troppo, pero’, perchè quelle regolette (propinate da blog di marketing in copia-incolla da quasi vent’anni) dovete rispettarle, altrimenti vale il discorso inverso che sto cercando, faticosamente, di portare avanti da anni. Se vi sembrano restrittive, è forse un primo passo verso una comprensione più flessibile della SEO, e la consapevolezza che non c’è magia, non ci sono trucchi, a volte ci sono bug di Google di mezzo (un aspetto immensamento sottovalutato, quest’ultimo: se un sito si vede “male” in SERP, la colpa viene spesso attribuita alla cattiva SEO, quando potrebbe essere anche incidentale).

Non è questione, in conclusione, di risolvere un puzzle: è questione di considerare tutti i fattori (o quasi) che sono interni ed esterni alla pagina da posizionare, che vanno sì dal modo in cui scrivi l’articolo – ma passano anche per le prestazioni del sito, la sua repuatzione, l’uso dei link interni alla presenza di backlink esterni “ottenuti” in vari modi.

Ribadire che nella SEO, proprio perchè arte approssimata per eccellenza – ma non approssimativa! – nata e diffusa prevalentemente sul web, alla fine, non ci sono garanzie nè “tecniche” effettive per avere il successo, suona quasi ridondante per i più esperti, ma è importante ripeterlo proprio per difendere la categorie dei consulenti SEO in quanto tali, che diversamente rischierebbero di diventare una sorta di operativo tuttofare sempre disponibile non a fare SEO bensì, in modo più spettacolare quanto inutile, a far credere al cliente di averla fatta.

Il gioco di equilibri, a questo punto, è proprio lì: far passare al cliente l’idea corretta, saperlo spingere nel modo migliore e valorizzare, in base alle risorse a disposizione, il buono che ogni sito dovrebbe avere insite (mezzo-gioco di parole orribile, ma tant’è). E senza pensare a quanto volte ripeti la parola chiave, visto che – notavo giusto l’altro giorno – alcune pagine web si posizionano su una chiave X anche senza che ci sia traccia della chiave X nel testo.

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