Come fa aranzulla.it ad apparire ovunque su Google?

In un mondo di emulatori di Salvatore Aranzulla, tra i pochi in Italia a saper proporre un modello di business per il web realmente vincente, e che viene considerato (per assurdo) più un esperto SEO che altro (sbagliando, secondo me), viene da chiedersi come abbia fatto ad arrivare a quei volumi di traffico.

La logica secondo cui Aranzulla sarebbe un buon SEO (e finisca addirittura nelle classifiche di settore, per questo, tra i migliori SEO italiani) è apparentemente inoppugnabile: si è posizionato bene per qualsiasi ricerca interessi il suo settore, addirittura infilandosi su settori in cui prima non c’era, ed in cui sono personalmente in competizione da anni (coda lunga di migliori servizi di hosting, ad esempio), il tutto generando un po’ di sana invidia da parte di chi si sbatte da anni e non ottiene nulla di tutto questo. Senza nulla togliere a nessuno (e per puro amor di discussine), la questione secondo me dovrebbe essere proposta in termini un po’ diversi da come alcuni, come Francesco Margherita ad esempio, hanno fatto.

Aranzulla non è un SEO

Senza scomodare trattati di motivazione personale o di psicologia, io partirei dal presupposto che Aranzulla non è affatto un SEO: perchè se fosse un SEO, dico con una certa malizia, non scriverebbe come scrive, ed il pubblico non gli avrebbe dato il trust di cui dispone ad oggi (per intenderci, parliamo di una persona che viene incrociata per strada e le persone lo ringraziano per il lavoro che fa).

La qualità dei contenuti è elevatissima

Molti SEO – e scrivo una cosa rischiosa, per il mio ruolo di consulente, e che molti potrebbero fraintendere –  danno un valore troppo contenuto al buon copywriting, perchè secondo loro bisogna lavorare sulla strategia di link building o al limite sulle anchor text, sui title, sui link e basta.

Ma i contenuti del suo sito (circa 17.000 pagine indicizzate al momento in cui scrivo) sono pensati per gli utenti, non per i motori di ricerca: tant’è che si tratta di contenuti che rispondono a domande specifiche, intendono le query degli utenti come vere e proprie “domande” di natura divulgativa e, solo in alcuni casi, commerciale. Aranzulla ha lavorato su entrambi questi target, a volte proponendo pagine “quasi” duplicate per query simili.

E non solo: ha fatto un lavoro eccezionale anche sul livello di approfondimento, mettendosi nei panni del visitatore del suo sito (che è il niubbio medio che non capisce troppo di tecnologia, e gode / rimane a lungo sulle sue pagine a vedere istruzioni passo-passo).

Aranzulla ha lavorato sui target giusti

Ecco il punto: lavorare sul proprio target di utenza. Più che la SEO, l’arma vincente nel suo caso sembra essere stata questa. Prima di lui a nessuno sarebbe venuto in mente di scrivere un tutorial su come accendere un iPhone, proprio perchè molta della SEO attuale è miope, completamente miope rispetto al senso del ROI, alla valorizzazione del traffico ed al fatto che da quel sito, prima o poi, qualcosa in termini monetari dovrai pur tirarla fuori.

Questo suggerisce anche un’altra cosa importante: non è detto che per la nicchia in cui tu vuoi posizionarti tu debba per forza fare come ha fatto lui. I contenuti brevi, ad esempio, funzionano bene uguale in altri contesti, e questo va detto soprattutto agli e-commerce che propongono orride pagine prodotto con lenzuolate di testo, nella speranza di fare chissà cosa.

Quando ha iniziato, la concorrenza non era così agguerrita

Se c’è una persona che lavora sul web che si è trovata al posto giusto al momento giusto, secondo me, è proprio lui: quando ha iniziato a sbucare tra i risultati di ricerca in SERP, del resto, erano pochi i portali tecnologici che avevano avuto l’intuizione di monetizzare i tutorial.

Un’idea che all’epoca nessuno aveva realmente capito, e che solo col tempo – e sulla scia dell’hype che si stava scatenando attorno a lui – si sarebbe concretizzata in decine di siti emuli di Aranzulla, spesso con le idee poco chiare e tanta buona volontà, che si illudono che basti scrivere contenuti lunghi per posizionarsi sul web.

Il punto, in questo caso, è che i suoi contenuti non sono vengono incontro ad un’esigenza concreta (la gente che litiga con la tecnologia ogni giorno), ma che buona parte di quel pubblico è tendenzialmente pronto a spendere (es. se deve comprare un prodotto o servizio a pagamento per semplificarsi la vita, è plausibile che Aranzulla metta un banner tematizzato per guadagnarci una commissione sull’acquisto).

Se non si trattasse di un pubblico ad elevato commercial intent, del resto, nessuno di noi parlerebbe del suo sito.

Aranzulla non lavora da solo sul suo sito

Per quanto è diventato possente il suo personal branding, si tende a pensare che abbia fatto tutto da solo: sì, ovviamente la base è sua, ma c’è anche uno staff di tecnici e di copy che lo assiste (ed è una notizia di prima mano sentita direttamente da lui, circa un anno e mezzo va, ad un suo evento al quale sono andato di persona). Peraltro la revisione dei contenuti è continua, ed esiste un sistema di notifiche che gli fa sapere quando il sito è a terra: sono queste le cose da cui prendere spunto, secondo me, non il fatto che usi le anchor X o il <title> bafiondo o l’H1 antanizzato.

Questo la dice lunga, in definitiva, e demolisce definitivamente il mito del nerd solitario che fa i soldi chiuso in uno stanzino: se non sei strutturato e circondato di vere competenze ben coordinate, non vai da nessuna parte.